level82 publishing

|RECENSIONE| Questo è un uomo - Mauro Cason

settembre 08, 2017




QUESTO E' UN UOMO
Identità. Archetipi. Essere maschi oggi.
di
Mauro Cason





Data di Pubblicazione: 2016
Formato: copertina flessibile
Pagine: 112


Prezzo

     
          13,90€ (cartaceo – link d’acquisto)













L’Opera narra la storia di un adolescente, Mirco, che una mattina d’estate incontra casualmente un vecchio pescatore; un incontro che gli cambierà la vita, sarà per il ragazzo un “raccogliere il testimone”, una sorta di rito scaramantico che lo proietta definitivamente nell'universo maschile, un mondo da cui è profondamente attratto ma che lo impaurisce.
Il testo affronta tutti quei temi che fanno di un maschio un Uomo, che lasciano il segno e che danno voce e dignità ad un “sentire” che spesso fatica ad essere conosciuto e riconosciuto.

Un libro che è un viaggio dentro l’autenticità dell’essere maschio, un cammino in cui la meta è, in qualche modo, il punto di partenza.
Un percorso per ritrovare il guerriero, il saggio, il poeta e l’amante che vive inesorabilmente dentro ogni uomo ma che negli ultimi decenni abbiamo smarrito.
Comprendere, accettare, ripartire dagli archetipi più profondi e radicati per capire ciò che siamo oggi ed essere consapevoli della nostra essenza, così distante rispetto alle aspettative di una società femminilizzata, in cui (ri)trovare identità e senso al proprio essere Uomo diventa davvero complicato.



A Giugno 2017 è uscita l’edizione speciale “Dal lettore all’Autore” di “Questo è un uomo”, nel quale il Dr. Cason risponde alle numerose domande dei lettori.






Oggi parlo di un libro che mi ha colpita davvero molto e ringrazio la Level82 publishing, CE con la quale collaboro, per avermi inviato la copia.


È la storia di Mirco, un adolescente, che una mattina d’estate del 1986 incontra casualmente un vecchio pescatore su di un pontile di una sconosciuta località della Riviera Romagnola, luogo in cui passa ogni anno due settimane di vacanza con i genitori e le due sorelline.
Per il ragazzino è un momento particolare della sua vita, è confuso, la crescita lo sta prendendo alla sprovvista, facendogli provare sentimenti ed emozioni discordanti.
Non sa se continuare a leggere i fumetti, giocare con
 Mjöllnir ad emulare Thor, oppure leggerli con distacco, apprezzandone solo la narrazione ed i personaggi.
L’unica cosa che sa è che l’infanzia, che sta per lasciare, è il luogo in cui si è liberi di essere chi si vuole, quando si vuole, nell'invincibilità del non avere responsabilità.
Ma Mirco non sa che, su quel pontile, il vecchio pescatore lo condurrà, silentemente ed attraverso un libro senza copertina, verso la comprensione di quella parte sconosciuta che preme incessantemente per emergere: la maturità.


Il libro è composto da tre parti, ognuna delle quali ha un suo significato:
La prima parte è relativa a “cosa è un uomo”, come vive l’amore, la relazione con il sesso, la vita di coppia, l’omosessualità e coincide con i dubbi iniziali di Mirco, sul suo sentirsi spaesato, un bambino nel corpo di un uomo e viceversa.
La seconda parte è dedicata agli “uomini raccontati”, le cui storie fanno riflettere molto.
Sono storie comuni, di persone che magari conosciamo anche bene, storie che raccontano di uomini che vivono nella realtà e di quelli che vivono nelle fiabe; questa parte coincide con la presa di coscienza di Mirco, che comincia a comprendere cosa non vuole diventare.
La terza ed ultima parte parla, purtroppo, di argomenti attuali come il femminicidio, del comportamento da bulli di persone fragili nei confronti di chi si reputa debole.
Quest’ultima parte è molto delicata, e coincide con la maturazione di Mirco.

Gli argomenti sono trattati con il giusto distacco, e forniscono diversi spunti di riflessione.
La narrazione è molto particolare, a metà tra romanzo ed un saggio sulla psicologia e ciò non fa altro che donargli un valore aggiunto.
C’è anche da sottolineare che, nonostante le numerose parti “tecniche” che compongono le pagine del libro che legge Mirco, la narrazione è scorrevole, grazie anche ai numerosi esempi che includono l’era moderna e la tecnologia, rendendone semplice la comprensione anche a chi non è addentro alla materia.

Prendendo in prestito le parole dell’autore, che si trovano alla fine dell’introduzione, “Le mele nascono sempre da un albero di mele”, Mauro Cason ci conduce nel profondo del significato di “Uomo”.
Cosa dovrebbe essere, cosa non è.
Non si schiera, lascia a noi le deduzioni (non a caso, alla fine del libro, l’ultima pagina è una scheda per le “Annotazioni Personali”).
E ci suggerisce che l’uomo – così come la donna – è il risultato dell’educazione ricevuta, del periodo e del contesto storico e delle esperienze fatte.


È un libro che consiglio vivamente a tutti, uomini e donne, ragazzi e ragazze, perché invita a riflettere ed è un valido aiuto per capire il vero significato di essere uomo.









Recensione a cura di:


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Si ringrazia la CE Level82 publishing per l'invio del libro cartaceo.








introspettiva

|RECENSIONE| Introspettiva - Serena Bilanceri

settembre 01, 2017



INTROSPETTIVA
di
Serena Bilanceri





Editore: Streetlib
Data di Pubblicazione: 2016
  ASIN: B01HPAKNCW
Formato: pdf/brossura
Pagine: 63


Prezzo

          1,99€ (ebook – link d’acquisto)
          6,99€ (cartaceo – link d’acquisto)










"Introspettiva" - raccolta di versi, è un’esortazione a guardarsi meglio e ad ascoltarsi di più, per conoscersi, scoprirsi e accettarsi per come si è, una fotografia che l'autrice scatta a sé stessa guardandosi allo specchio.
Scatto dopo scatto si svela, spogliando l'anima da pesanti zavorre del suo vissuto e aprendosi al cambiamento e alle nuove sfumature dell'essere.
Così, nello stesso specchio, chiunque, osservandosi bene, potrà arrivare a vedersi, conoscersi, scoprirsi e accettarsi, arrivando a quella consapevolezza che, nel tempo, ci porterà le giuste risposte.


Nei 43 componimenti sono narrati stati d'animo profondi e autenticamente vissuti, descritti con uno stile leggero e scorrevole, tanto da far sentire il lettore parte della raccolta.
I temi trattati sono svariati e portano a momenti di riflessione sull'esistenza e sulla consapevolezza che la felicità vada ricercata per primo in noi stessi.








43 poesie, un cammino poetico di vita vissuta.
Introspettiva è legato indissolubilmente alla sua autrice, alle sue emozioni, alle sue esperienze.
Svelandosi al lettore, pagina dopo pagina, Serena utilizza diverse figure inanimate come metafore del suo io, trasportando il lettore nel suo universo.

La raccolta si apre con il tema della nascita e si chiude con il tema della rinascita.
Le altre 41 poesie – intervallate dalle opere pittoriche dell’autrice che compongono la serie di quadri “Cuoreinverso” –  esprimono il lungo cammino percorso fino all'accettazione e la comprensione di sé, quella persona sconosciuta che abita in noi stessi e che va amata e compresa prima di chiunque altro.  



“Riflessi nel fiume gli echi di quelle luci,
miraggi ormai lontani
di quelle foto mai scattate,
ma impresse nei ricordi.”
(Estratto della poesia n.13 – Rimorsi)



Dai suoi versi si evince quanto abbia sofferto ma, grazie alle sue ferite, è riuscita a rifiorire, esattamente come l’Araba Fenice che nasce dalle ceneri del rammarico.



“Nella fessura dell’anima
che avevo lasciato aperta,
il mio spirito si colora
di una nuova me.”
(Estratto della poesia n.29 – Punti di vista)



Sono versi che toccano il cuore e che sanno conquistare.
Poche righe, parole essenziali per descrivere diversi stati d’animo che albergano nell'animo di ognuno di noi.

Non è difficile riconoscersi nei versi di Serena, in quanto percorriamo tutti un cammino che, per vari motivi, ci porta a subire, seppur in modi e tempi diversi, le stesse delusioni e portare addosso il peso dei rimpianti.


Questo libro fa comprendere che la chiave della vita è essere sempre sé stessi, e di non fare affidamento su nessun altro che nelle nostre capacità.
Solo così si possono superare gli ostacoli che l’esistenza pone, ed accettare con la giusta consapevolezza le burrasche e le notti tranquille, apprezzando il fragile equilibrio della quiete.


In definitiva, è un must-have per gli amanti della buona poesia e per chi non ha mai avuto l’occasione di leggere tale genere.







Recensione a cura di:
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Si ringrazia Serena Bilanceri per l'invio del libro cartaceo.

alessandra loreti

|RECENSIONE| Quel desiderio che sa di cielo - Alessandra Loreti

agosto 28, 2017



QUEL DESIDERIO CHE SA DI CIELO
di
Alessandra Loreti

Copertina del libro


Editore: Autopubblicato
Illustratore: Topo C.
Data di Pubblicazione: 2017
EAN: 9791220018449
ISBN: 1220018449
Formato: pdf/brossura
Pagine: 106


Prezzo

          4,00€ (ebook – link d’acquisto)
          12,00€ (cartaceo – link d’acquisto)







La vita caotica di una giovane (e piuttosto ansiosa) illustratrice di moda prende forma tra le pagine di un diario. Un percorso alla riscoperta di sé raccontato attraverso parole e disegni.








Cassandra, 25 anni, è un’illustratrice di moda.
Tramite il suo diario entriamo nel suo mondo, nella sua vita privata fatta di ex e nuovi amori, conosciamo amici, sogniamo e vediamo il mondo attraverso i suoi occhi (merito anche dei meravigliosi disegni a cura di Chiara Topo).

È una storia in cui è facile immedesimarsi, in quanto Cassandra è, sostanzialmente, tutti noi: ha un lavoro che non le dà soddisfazione, il capo che non la gratifica per come merita, un ex che si rifà vivo dopo anni ed una conoscenza in corso con Marco, un bel ragazzo che ha un’enorme difetto: è un indeciso, sempre troppo preso dalla vita, dal mondo e dal lavoro, che si lascia facilmente indietro persone che avrebbero potuto dargli un po’ di stabilità ed affetto sincero.
Ma, tra amici e volontariato, Cassandra ha un sogno: quello di vincere un concorso come illustratrice per un’importantissima rivista di moda di New York..


“Quel desiderio che sa di cielo” è delicato, scorrevole, si fa leggere velocemente ed è adatto ad ogni tipo di pubblico. 
Vorrei consigliarlo in special modo alle adolescenti che non sanno ancora quale sarà il loro futuro, in quanto questo libro è un inno all'indipendenza, alla rinascita ed alla voglia di tenere duro e sognare un avvenire ricco di speranze, nonostante le avversità che si incontrano nei vari periodi della vita.
E’ un libro che esorta a non mollare, rivolto anche alle ragazze che hanno passato l’adolescenza ormai da anni, in quanto racconta la storia delle difficoltà di chi lotta per affermarsi nel mondo del lavoro, per la realizzazione personale e morale.








Recensione a cura di:


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Si ringrazia Alessandra Loreti per l'invio dell'e-book.

|RECENSIONE| Govindo (il dono di Madre Teresa) - Marina Ricci

agosto 17, 2017















Copertina del libro
Capita di chiedersi, di fronte alla televisione, cosa succeda quando le telecamere si spengono e la comunicazione si interrompe, perché a volte è lontano dalle luci e dal clamore che si muovono le storie più belle.
Così, nei giorni della malattia e della morte di Madre Teresa, a Calcutta c’era Marina Ricci, inviata di un’importante rete televisiva italiana. I suoi servizi dall’India hanno raccontato la malattia e la sofferenza, insieme alle tante opere di bene delle suore Missionarie della Carità. Ma mentre il volto e la voce di Marina entravano nelle case di milioni di italiani, c’era qualcosa di profondo e personale che stava cambiando la sua vita.
Questo libro è la storia di quello sconvolgimento e di tutto il bene che ha portato.

















Questo libro mi ha trovata.
Era stato dimenticato (o abbandonato, chissà) sulla poltroncina di un centro fisioterapico della mia città, ove andavo per cercare di superare alcuni problemi fisici. Ricordo ancora che mio padre, che stava aspettando che finissi il turno, lo prese con sé e mi disse che qualcuno aveva lasciato questo libro tutto solo ed in attesa di qualcuno che potesse adottarlo e tenerlo nella propria libreria.
Perplessa, dato che non è assolutamente il genere di libro che prediligo, l’ho sfogliato e mi sono detta che, se in quel particolare periodo mi era capitato questo libro, anche se mai lo avessi letto…almeno avrebbe avuto il suo posto in una libreria, amato, rispettato e protetto da futuri ulteriori abbandoni.
So che può sembrare strano, ma chiunque ama i libri non può non concordare con me.
Ad ogni modo l’ho adottato, gli ho trovato un posticino in una delle mie tre librerie e l’ho lasciato lì per qualche settimana.
Ripeto, non ero assolutamente convinta del contenuto, quindi non mi azzardavo a leggerlo.
Ma un giorno, all’improvviso, l’ho preso tra le mani e, senza sapere come, l’ho divorato.
E l’ho amato, oltre ogni aspettativa.

Nel 1996, Marina Ricci – all'epoca vaticanista del TG5 -, viene mandata a Calcutta dal direttore Enrico Mentana mentre Madre Teresa sta affrontando una grave malattia e si pensa che sia prossima a morire.
La giornalista non la incontrerà mai, ma per raccogliere materiale per i suoi servizi ha modo di visitare i luoghi in cui le Missionarie della Carità aiutano i bambini in difficoltà.
Ed è proprio in uno di questi luoghi, l’orfanotrofio Shishu Bavan, che conosce Govindo: è un bambino affetto dalla sindrome di Cockayne che nessuna famiglia intende adottare.
Ma Marina è diversa, comincia a nutrire dell’amore per Govindo, al punto da sentirlo come “suo figlio”.
Ne parla con Tommaso, suo marito e giornalista anch’egli, e con i suoi quattro figli e, tutti insieme, decidono di adottarlo.
Da quel momento inizia un percorso d’amore che rivoluzionerà l’intera famiglia, perché Gogo (come lo chiamano tutti) soffre di una malattia degenerativa che gli impedisce di camminare, crescere e parlare.
Ma quasi a nessuno importa: Govindo è la luce di quella famiglia, la gioia di mamma Marina e papà Tommaso e dei suoi quattro fratelli fino al 5 novembre 2010 quando, a diciotto anni appena compiuti, lascia questo mondo.

Questo libro è la testimonianza che l’amore esiste, che non guarda in faccia alle disabilità ed all'ignoranza.
Insegna che l’amore di una madre va oltre il dovere, e che la vera madre non è quella che ti partorisce ma quella che ti cresce.
Marina Ricci è una giornalista, poco importa se nel 2012 ha lasciato Mediaset: se sei un giornalista lo sei per sempre. Nel tuo modo di vedere le cose, nel descriverle chiare, pulite, nel raccontarle con parole nette e semplici.
Ha saputo rendere giustizia agli eventi con una lucidità impressionante e, contro ogni aspettativa, è riuscita a fare emozionare.
Ha reso partecipi i lettori di una parte fondamentale della sua vita e della sua famiglia, facendo indignare con le trascrizioni dei commenti dei dottori che non davano un anno di vita a Govindo e chi diceva che stavano commettendo una follia.
La vera follia sarebbe stata lasciare il bambino all'orfanotrofio, non vivere questa “avventura” che ha portato tutti alla maturità ed ha portato del bene anche solo in chi ha letto il libro.

Questo è uno dei libri che almeno una volta nella vita dovrebbero leggere tutti.
Dona speranza.
Dona amore.
Dona vita.
E sono felice di averlo letto.



Ed ecco Govindo, una persona speciale









Recensione a cura di:




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dopo di te

|RECENSIONE| Dopo di te - Jojo Moyes

agosto 14, 2017












Copertina del libro
Dopo la morte di Will, Louisa Clark si sente persa, svuotata.
È passato un anno e mezzo ormai, e Lou non è più quella di prima.
I sei mesi intensi trascorsi con Will l'hanno completamente trasformata, ma ora è come se fosse tornata al punto di partenza e lei si sente di dover dare una nuova svolta alla sua vita.
A ventinove anni si ritrova quasi per caso a lavorare nello squallido bar di un aeroporto di Londra in cui guarda sconsolata il viavai della gente.
Vive in un appartamento anonimo dove non le piace stare e recupera il rapporto con la sua famiglia senza avere delle reali prospettive.
Soprattutto si domanda ogni giorno se riuscirà mai a superare il dolore che la soffoca.
Ma tutto sta per cambiare.
Quando una sera una persona sconosciuta si presenta sulla soglia di casa, Lou deve prendere in fretta una decisione.
Se chiude la porta, la sua vita continuerà così com'è: semplice ordinaria, rassegnata.
Ma se lei ha promesso a sé stessa ed a Will di vivere, e se vuole mantenere la promessa, deve lasciar entrare ciò che è nuovo.













Sono sempre stata convinta che l'Opera Omnia di uno scrittore sia solo una.
Infatti qui ci troviamo ad un calo vertiginoso di idee, un tanto atteso seguito che risulta penoso e che ad ogni pagina peggiora sempre di più, sempre di più...fino a sfociare in un libro pieno di cliché, descrizioni atte solo ad allungare la straziante durata del libro, dialoghi talvolta più che imbarazzanti, incidenti gravissimi da cui tutti riescono a guarire in poco tempo e cose messe a caso.
Volutamente non parlerò dello stile frettoloso, con poco rispetto delle regole base della scrittura e dei tempi verbali, ma sembra sul serio che questo libro lo abbia scritto una ragazzina di dodici anni (con rispetto per le ragazzine di dodici anni che, indubbiamente, sanno scrivere meglio) pestando a caso i tasti sulla tastiera e producendo una fan fiction di bassa lega di “Io prima di te”.

L'unica cosa che ho apprezzato è stata l'onestà nei ringraziamenti alla fine del libro: i lettori di tutto il mondo hanno chiesto alla Moyes, pregandola in ginocchio con messaggi privati e petizioni, di sapere Lou che fine avesse fatto.
E gli editori l'hanno perseguitata, evidentemente, vedendoci soldi facili.
Così la Moyes ha ridato vita a Lou, ma non l'originale, divertente, sfrontata e tutta calze a righe gialle e nere Ape Maya Style abbinate a vestitini di paillettes verdi vintage e ballerine dai colori improponibili, ma ad una fotocopia sbiadita e monotona fatta di anonimi jeans e magliette che si trovano dai cinesi.
In sostanza: ha scritto un libro dalla trama rosa qualunque – il suo solito genere – ed ha cambiato i nomi con quelli dei personaggi del libro precedente, ovvero le regole base – repetita iuvant – della costruzione di una fan fiction.

La nostra amica Clark aveva promesso a Will che avrebbe vissuto la sua vita, così ha comprato appartamento e mobilia a Londra dopo aver fatto il giro del mondo, sperperando tutti i soldi del lascito (ricordiamo che Will le aveva detto chiaramente che doveva riprendere a studiare moda, e i soldi servivano a quello e per farla vivere serenamente). Oggi la ritroviamo che lavora come cameriera infelice in aeroporto, perché le vecchie abitudini sono vecchie a morire e se sei un'ereditiera che non sa gestire i soldi alla fine finisci così.
Beve vino, tanto, cammina sul cornicione della terrazza...
Insomma cosa mai può capitarti, se non cadere da cinque piani per colpa di una voce femminile sconosciuta che ti ricorda che non dovresti stare lassù?
Ovviamente cade, ma mica muore come tutti i comuni mortali, no: grazie al tendone aperto – di notte – ed una “sdraio costosa di vimini” del vicino di casa (cito, poiché non ho parole in merito), atterra sul morbido, quindi viene soccorsa dal paramedico (che più avanti ritornerà con furore nella narrazione) e si salva con qualche lieve danno, cosa di poco se si conta che solo dopo due mesi da costole e clavicola incrinati e dalle due operazioni all'anca, Lou è di nuovo a lavoro, sempre in piedi e sempre presente (perché ha un capo odioso che le ha pure rinfacciato di essersi presa due mesi di malattia e non può perdere questo lavoro così soddisfacente!) e, strano a dirsi, senza fare fisioterapia.

Louisa Clark: la nuova miracolata.

Come se non bastasse, i suoi genitori, credendola una suicida per la disperazione di aver perso Will, la iscrivono al gruppo di sostegno “Guardare avanti” e sarò sincera: a parte i primi incontri e sporadici interventi sensati, sono tutte battute alla tipo “I biscotti sono immangiabili, il caffè fa schifo” e continui punzecchiamenti tra i partecipanti che poi, alla lunga, stancano.
Quello che stanca di più, però, è come un personaggio chiave come Lily – la proprietaria della voce sconosciuta che Lou sente prima di cadere – sia stato introdotto a forza, con una storia fin troppo pesante (che potrebbe capitare, certo, ma l'esagerazione di voler colpire l’immaginario del lettore a tutti i costi non ha limiti), genitori volutamente assenti e ricchezza a palate.
Salto per il vostro bene la storia smielata tra Lou ed il paramedico Sam (l’unico uomo che flirta al citofono), i continui riferimenti ad ogni tre parole al libro precedente e la lite grottesca che vede protagonisti i genitori di Clark (ceretta inguinale del padre compresa).

Quando si perde qualcuno per suicidio il dolore è straziante, ti chiedi sempre il perché di un gesto simile.
Ma come ho scritto precedentemente nella recensione di “Io prima di te” (clicca qui per leggerla), Will ne aveva tanti, di perché.
Allora mi chiedo per quale motivo Lou abbia deciso volontariamente di non vivere, di non andare in cura da uno psicologo per superare il trauma.
Insomma, parliamoci chiaro: guarisce solo chi vuole guarire, e la nuova versione di lei mi suggerisce che la maturità acquistata nel primo libro era solo apparenza.
Se i motivi che hanno portato al suicidio assistito sono chiari, non ha senso rivangare il passato: vai avanti Clark, era quello che Will desiderava per te.

A differenza del precedente capitolo, molto curato e molto esplicativo sul mondo dei tetraplegici, questo libro è patetico, raffazzonato, superficiale e senza un nesso logico: Lou decide di guardare avanti all'improvviso e solo verso gli ultimi capitoli come se fosse avvenuto un miracolo (bis), senza esplorare il mondo della depressione post-suicidio di chi si ama.
Avrei preferito che tutte le pagine fossero permeate di delusione, depressione, infelicità e, solo alla fine, di una rinascita, della rinnovata voglia di vivere e trovare un nuovo amore, invece il lettore non fa altro che esclamare, pagina dopo pagina: “Lou, sei un'emerita deficiente!”.

Molti condonano questa insufficienza di empatia che la Moyes fa provare al lettore nei confronti di Clark (complice anche un rifiuto di un lavoro ben retribuito e con tutti i santi crismi per ritornare a fare la cameriera nello squallido bar che detesta, pregando quasi in ginocchio il capo che odia – sarò ancora più sincera di prima, ma a questo punto ho avuto voglia di abbandonare sul serio la lettura) solo perché è da intendersi come “libro a se stante”, quindi goderselo così com'è se senza recriminazioni.
E no, amici miei: se stampate sulla copertina “il tanto atteso seguito di Io prima di te” quasi più grande del titolo stesso (in proporzione alla grandezza del carattere si può intuire quanto scadente sia il prodotto) …non è un libro come un altro.
È un dannatissimo seguito.
Scritto solo per fare soldi e per accontentare i lettori di tutto il mondo che si sono mobilitati per farsi scrivere a comando la degna conclusione per un libro tanto amato.

Che poi, vista e considerata la qualità, forse era meglio lasciare Lou seduta al tavolino di Parigi con la lettera di Will in mano, con lo sguardo rivolto verso un futuro incerto, senza l'uomo che ama ma comunque con la speranza di sopravvivere a questo enorme dolore.














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Film - Confessioni di una critica cinematografica

|RECENSIONE SERIE TV| Tredici - 13 Reasons Why (2017- )

agosto 08, 2017










Titolo originale: 13 Reasons Why (TH1RTEEN R3ASONS WHY)
Anno: 2017 – in produzione

Genere: Teen Drama


Principali interpreti:
Dylan Minnette
Katherine Langford
Kate Walsh

















Il liceo locale di un classico sobborgo americano è sconvolto dal recente suicidio della studentessa del terzo anno Hannah Baker. Qualche giorno dopo, un suo compagno di classe ed amico, Clay Jensen, trova una scatola contenente sette nastri in cui sono raccolte tredici registrazioni fatte proprio da Hannah, in cui spiega i tredici motivi che l'hanno spinta a togliersi la vita; chi riceve quelle cassette è proprio uno dei motivi.
Tormentato, il ragazzo inizia ad ascoltare le registrazioni per capire che ruolo ha avuto in quel tragico gesto. Scoprirà che Hannah è stata vittima di voci malevole, bullismo ed anche violenze da parte dei compagni, e che molti di questi ultimi, dietro le apparenze, nascondono dei segreti anche terribili.

Durante l'ascolto, Clay verrà ostacolato dagli altri destinatati delle cassette, che vogliono impedirgli di far trapelare le verità conosciute da Hannah.  

















Nonostante il romanzo di Jay Asher (di cui faremo una recensione prossimamente) sia uscito nel 2007 in patria e l'anno successivo in Italia, è solo con la recentissima serie tv dal titolo omonimo, prodotta e distribuita dalla piattaforma on demand Netflix, che entrambi stanno imponendosi al grande pubblico di tutto il mondo. Il perchè è presto detto: parlano con realismo e senza filtri di quasi tutti i temi tabù delle varie generazioni.

Bullismo e cyberbullismo, diffamazione, molestie e violenze sessuali, depressione, genitori assenti..nelle serie tv e nei film attuali non se ne parla mai o, comunque, in modo molto edulcorato, in modo da non traumatizzare lo spettatore, spesso inseriti nella storia in modo funzionale alla riuscita professionale del protagonista, come ad una sorta di “vendetta” su chi lo ha ostacolato in passato. Il tutto, comunque, senza soffermarsi troppo sui soprusi subiti da ragazzini, ma come una sorta di flashback che, a volte, tende anche a giustificare le azioni dell'antagonista.

In questa serie, invece, non c'è sconto, non c'è divertimento, nessuno ti prende per mano e ti conduce verso la luce: Hannah Baker si è suicidata. Ha compiuto un atto estremo, terribile.
E non lo ha fatto per ottenere visibilità.
Lo ha fatto per disperazione, perchè anche lo psicologo che avrebbe dovuto aiutarla le ha suggerito di andare avanti e dimenticare i soprusi, le cattiverie e le violenze.

E' un teen drama che distrugge, fa capire cosa significa essere rimasti soli, e fa capire cosa significa essere dei superstiti alle morti di un suicida.
Tutto il mondo che avevi creato, all'improvviso ti cade addosso e ti ritrovi a dover mettere insieme i pezzi.
Allora vediamo Olivia Baker, la madre di Hannah, che non si rassegna alla perdita prematura della figlia, convinta che non ci sia solo la voglia di mettersi in mostra, come suggerisce la scuola, ma qualcosa di terribile che l'ha spinta a commettere un gesto tanto atroce.
Vediamo Clay Jensen, da sempre silente innamorato di Hannah, che cerca di andare avanti come può, ascoltando le cassette e lottando contro il senso di colpa che lo attanaglia per non aver fatto di più e continuamente pressato dagli “e se..”.
Entriamo con lui in una scuola piena di ragazzi complessati, che pur con un “semplice” silenzio, hanno contribuito alla morte di una ragazza di sedici anni.



I Protagonisti della serie


La cosa bella della serie è che non c'è un solo cattivo su cui scagliarsi, ma ci sono persone ritratte nella loro umana imperfezione, che hanno famiglie sballate, che sbagliano e vogliono sbagliare per non far scoprire i loro segreti.
E, dall'altro lato, ci sono i genitori.
Troppo concentrati su se stessi, sulla propria vita e sul proprio tablet da non accorgersi che i figli sono soli e disperati.
Che alla domanda << Come stai? >> si accontentano della risposta << Bene. >> senza approfondire.
Ma il dramma per eccellenza si consuma a scuola, là dove gli adolescenti passano gran parte della vita, per apprendere come stare al mondo. Dove i professori lanciano campagne di sensibilizzazione alla “Non sei solo, il suicidio non è un'opzione!” solo dopo che una ragazzina si è tolta la vita, per pulirsi la coscienza e convincersi di aver fatto la cosa giusta. Proprio loro che, in molti casi, sminuiscono ed offendono gli alunni bullizzandoli alla stregua dei coetanei, minando la loro autostima con insulti e ridicolizzando i ragazzi, solo perchè hanno “il coltello dalla parte del manico” ed usano le minacce per farsi valere ed incutere timore (perchè sanno che, in fondo, non meritano nulla, nemmeno l'appellativo di “educatore”).

Tredici è una serie che tocca nel profondo ognuno di noi, in quanto tutti siamo stati adolescenti, e tutti, chi più chi meno, abbiamo sopportato in silenzio i soprusi che compagni e professori hanno perpetuato nei nostri confronti.
Ma è una serie che invita a reagire, perchè apre gli occhi e fa svegliare: c'è chi sopravvive, ma Hannah Baker non era forte quanto dava a vedere.

E' una delle poche serie che ti insegnano a crescere dentro, che chiariscono che se sei una ragazza nessuno dà in automatico il diritto agli altri di palparti, fare allusioni, stuprarti. Che il tuo no è un NO, e chi non rispetta il tuo diritto di rifiuto deve pagare le conseguenze. Che se sei omosessuale ciò non ti rende migliore o peggiore di un etero, ma sei solo una meravigliosa persona che ha tanto da dire e da fare, senza dover per forza aver cucita un'etichetta diffamatrice addosso per l'eternità e dover avere paura di quello che pensa la gente. Ma, sopratutto, che essere bullizzati non da il diritto di bullizzare un'altra persona solo perchè credi che questo sia la tua unica via d'uscita da quel mondo che tanto detesti..

In definitiva, Tredici fa riflettere molto chi è stato vittima di bullismo, chi ha pensato di farla finita per il silenzio dei professori e dei loro occhi volontariamente chiusi, e chi ha perso una persona amata per suicidio.
Per tutti gli altri, ovvero i bulli, i professori che si trincerano dietro uno sguardo rivolto altrove per non vedere, chi non ha mai avuto lutti del genere e tutti quei genitori assenti che si preoccupano per i figli ma non glielo dicono o dimostrano, mi auguro che li faccia svegliare.
Che faccia capire che anche un “sei una palla di lardo” detto scherzosamente condizionerà a vita il soggetto bullizzato. Che ogni “Provvederemo domani” dei professori sia davvero domani e non chissà in quale secolo. Che ad ogni “Bene” secco e schivo, i genitori prendano da parte la prole e gli sappiano concedere quel minuto del loro tempo così prezioso che, un giorno, gli servirà per poter dire di essere stati dei buoni genitori e non rimpiangere il tempo speso a guardare le mail sul telefonino.

Il messaggio chiaro della serie tv è che ogni nostra azione può avere delle gravi ripercussioni sia su noi stessi che sugli altri.

Perchè Hannah Baker può essere chiunque.
Tutti noi potremmo essere i “tredici motivi”.

Ed un giorno potremmo pentirci di non aver fatto il possibile per salvarla.







VOTO SERIE TV COMPLESSIVO









Recensione a cura di:











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Film - Confessioni di una critica cinematografica

|RECENSIONE FILM| The Ticket - 2017

agosto 07, 2017









Nome film: The Ticket
Diretto da: Ido Fluk
Anno: 2016
Data di uscita nelle sale: 7 Aprile 2017 (USA) – ? (IT)

Principali interpreti: 
Dan Stevens, 
Malin Akerman, 
Oliver Platt, 
Kerry Bishè
















Dopo che James, un non vedente, riacquista la vista, si ritrova ossessionato dall'idea di avere il meglio dalla vita.
Tuttavia, questo obiettivo di migliorarsi ad ogni costo (che includerà una casa più bella, un lavoro pagato benissimo, abiti su misura ed auto di lusso), lascia poco spazio per le persone che facevano parte della sua vecchia e più semplice vita: la moglie e l'amico Bob.
Quando i suoi rapporti personali vengono minati dalla sua sfrenata ambizione, nessuno sa se James potrebbe far ritorno all'oscurità da cui è rinato..













“Un uomo prega Dio per 50 anni. La stessa preghiera ogni sera. << Dio, per piacere, fammi vincere la lotteria >>. Anno dopo anno, dopo anno, dopo anno. << Ti prego Dio, fammi vincere la lotteria >>. Alla fine, un angelo andò da Dio e disse: << Dio, questo uomo ti ha pregato per tanto tempo. Perchè non lo fai vincere? >>. E Dio disse: << Mi sarebbe piaciuto poterlo aiutare, mi sarebbe davvero piaciuto. Ma lui non ha mai comprato un solo biglietto della lotteria. >>”

Il film si apre e si chiude con questa storia narrata dal protagonista e fungerà spesso da espediente per molte azioni che commetterà e diventerà quasi un mantra per l'auto-giustificazione.

The ticket – il biglietto – è il vero protagonista.

Il biglietto della vista, quello del lavoro, quello dell'amore, dell'amicizia e della vita dignitosa in generale.

James , il “protagonista”, è un cieco che torna inspiegabilmente a vedere e, improvvisamente insoddisfatto della modesta vita che ha condotto fino a quel momento, comincia a commettere una serie di errori che lo porteranno ad una lenta autodistruzione.
Lui il biglietto non lo ha comprato, lo ha solo ricevuto in regalo.
Ma non ha saputo farne tesoro, coltivando gli affetti ed il misero lavoro che aveva..
Ha voluto strafare, perchè la vista gli ha permesso di vedere quanto, secondo lui, era caduto in basso.
E per inseguire un'ideale di astratta perfezione, ha perso man mano le fondamenta della sua vita.

Mi è molto piaciuta l'interpretazione di Dan Stevens (“Downton abbey”, “La bella e la bestia”) che ha reso James molto umano nelle sue debolezze. Anche Malin Akerman (“Watchman”, “Ricatto d'amore”), di solito impegnata in commedie, ha reso bene la parte della moglie di James, trascurata e pensierosa nella prima parte, curata e con la voglia di lasciarsi indietro il passato nella seconda. Anche Oliver Platt (“Linea mortale”, “L'uomo bicentenario”) , che interpreta l'amico cieco Bob, è da elogiare.
Ma c'è qualcosa che non ho molto tollerato: la lentezza esasperante.
Se non fosse stato un film pieno di valori, di “schiaffi morali” e che fa riflettere, seguirlo sarebbe stato un po' difficile, data la regia statica, monotona e lunghi silenzi che potevano benissimo starci se accompagnati da quel dinamismo che difetta nel film.

Nonostante tutto lo consiglio vivamente, in quanto è uno dei film più belli che abbia mai visto in quanto a morale, proprio per gli ultimi dieci, strazianti, minuti e la chiusura emblematica sulla vita di quest'uomo che ha capito troppo tardi che non c'è nessuno più cieco di chi non vuole vedere.





VOTO FILM COMPLESSIVO









Recensione a cura di:








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